Il Culto di San Giuseppe in Sicilia

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Una tradizione che affonda le radici nella mitologia greca con un preciso richiamo al culto di Demetra. Una celebrazione del 19 marzo che risale al 1400 e che si sostanzia nella preparazione dei pani chiamati ‘Cene di San Giuseppe’ per ricordare l’ultima cena di Gesù con gli apostoli

San Giuseppe in Sicilia si conferma uno dei santi più amati a giudicare dai numerosi festeggiamenti di cui è oggetto. E quella di San Giuseppe è una delle feste più tipiche e suggestive della tradizione dell’Isola. Un intreccio di fantasia e di abilità materiale sullo sfondo di un’operosità collettiva che è profondamente religiosa, ma che ha ascendenze pagane, perché questa solare celebrazione del pane, quindi della fertilità e dell’abbondanza, apre anche le porte alla primavera. Feste che hanno il sapore di un risveglio dal torpore dell’inverno dato che il 19 marzo coincide con l’equinozio di primavera. La celebrazione del 19 Marzo risale alla fine del 1400. Nei primi del 1600 San Giuseppe compare nel calendario romano universale e fino all’anno 1977 la data figurava tra le festività religiose nazionali.

Il 19 Marzo, in coincidenza con l’arrivo della bella stagione, si manifesta a Salemi la venerazione verso San Giuseppe, il Patriarca, santo tutelare degli orfani e dei poveri, con altari devozionali tutti ornati di pane modellato, chiamati ‘Cene di San Giuseppe’, denominazione che vuole ricordare l’ultima cena di Gesù con gli apostoli, il sacro banchetto che istituì l’Eucarestia.

Le origini si perdono nel tempo, ma il rito, che si riallaccia a usi pagani, conserva il valore della tradizione da una generazione all’altra e continua a testimoniare il fascino incantato della spontaneità dei cuori e della nobiltà dei sentimenti. Devozione e tripudio, ostentazione gastronomica e sentimenti di Carità Cristiana si mescolano durante il periodo delle ‘Cene’ intensamente vissuto da ogni categoria di cittadini.

A Salemi si preparano tra i più bei ‘Pani votivi’ della Sicilia. Gli elaboratissimi pani di questo paese del Trapanese, oltre a raffigurare frutta, fiori, animali, mostrano dei costanti richiami simbolici alla sacralità di una festa che unisce al fervore religioso lo spirito di rinnovamento della terra nel momento che precede la primavera. La preparazione dei pani deve seguire un preciso rituale e ha inizio alcuni giorni prima. I pani successivamente verranno simbolicamente collocati nell’altare dal padre di famiglia.

Un culto che quasi sicuramente ha origini arcaiche: i culti della fertilità della terra in onore delle divinità delle messi. Demetra nella mitologia greca, Cerere in quella romana. A Demetra si attribuisce anche la nascita del pane. La tradizione arcaica nel tempo si è incontrata con quella religiosa e come è accaduto anche in altre parti dell’Italia si è rinnovata e adattata ai nuovi bisogni spirituali.

Gli altari, allestiti al fine di chiedere una speciale protezione del focolare domestico e della famiglia dalle avversità, sono ricchi dei tipici pani detti affettuosamente ‘panuzzi’, che, una volta benedetti, vengono distribuiti ai fedeli. Il pane infatti, è l’alimento di maggiore attenzione durante questa festa in quasi tutti i paesi della Sicilia. Esso, presentato in vari modi ed offerto dopo la benedizione, per San Giuseppe assume diverse varianti decorative.

L’usanza, poi, di dare forme ai pani è antichissima. Pani antropomorfi esistevano infatti già al tempo dei Romani. I pani votivi sono plasmati secondo precise forme simboliche cui si ricorreva nel paganesimo, come la chiave o la forbice, e si ricollegano agli oggetti dati ai propri cari per facilitare la fuga dagli inferi. Altre forme, che ricorrono maggiormente nel periodo del cristianesimo, comprendono invece la forma a croce, la colomba simbolica della pace, il pavone che indica l’immortalità, la palma la redenzione, il pesce simbolo del Cristo, l’agnello che ricorda il sacrificio divino e gli angeli l’annunciazione. Sugli altari compaiono spesso anche i caratteristici piatti dove sono cresciuti germogli di frumento, elemento anch’esso di forte simbolicità. Gli altari di ringraziamento sono elemento presente in quasi tutte le culture che si susseguirono in Sicilia, e che incisero nei costumi di varie località dell’isola. A supporto di ciò è il fatto che Giuseppe è Santo Patrono in diversi paesi siciliani e che a Lui sono dedicate molte Chiese. Alcune storiche dominazioni hanno inoltre conferito un personale  contributo alla tradizionale decorazione degli altari. Ad esempio, agli arabi si deve l’usanza di arricchire l’allestimento con la presenza di agrumi.

Le donne-artiste di Salemi si tramandano questa tradizione di madre in figlia e il giorno di San Giuseppe lungo le strade si decorano gli altari e le cappelle votive di pani ricamati con varie forme che richiamano la natura, fiori, piante, animali, oppure le forme della religiosità cristiana, angeli e simboli della fede, nonché San Giuseppe. 
Il pane benedetto poi viene donato a tutti coloro che si fermano a pregare. Sarà conservato a casa come una reliquia.

Forte è il significato religioso dell’evento. Per San Giuseppe, con un rito sempre uguale, fede e tradizione riportano in casa altari devozionali che richiamano figurativamente una chiesa, al cui interno si erge l’altare dedicato al Santo.
Sono gli uomini, che lavorando per giorni, preparano in una stanza, a pianterreno della casa, un tempietto a pianta quadrangolare, curando tutta una scenografia particolare. Si costruisce una struttura in legno (oggi anche in ferro) con colonnine portanti, fatte di canne intrecciate, che convergono in alto formando un tetto a cupola; l’architrave e il fregio frontale completano l’impalcatura, che viene interamente ricoperta da ramoscelli di alloro e di ‘murtidda’ odorosa (bosso), elementi ornamentali che hanno un significato propiziatorio. Ultimata la struttura, vi si appendono a decorazione piccoli pani artisticamente lavorati, secondo un ordine ben definito, e arance e limoni appena colti.

Al centro, addossato a una parete interamente rivestita con un drappo bianco, si prepara un piccolo altare con cinque ripiani degradanti, tutti ricoperti di candidi lini ricamati, e si appende in alto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia.
Ai lati si dispongono delle mensole con bianche tovaglie ricamate su cui si poggeranno oggetti simbolici di significato costante e di facile lettura: caraffe di vino, vasi di fiori, garofani e ‘balacu’ (violaciocche), frutta, fette di rossa anguria di gesso, lumini, candelabri, vasi con pesciolini rossi, arance e limoni alternati al pane. Ai piedi dell’altare si stende un tappeto dove vengono posati un agnello di pane, di gesso o di cartapesta, in riferimento al sacrificio di Cristo, un’anfora con acqua e un bianco asciugamano, disposto a forma di ‘M’, per ricordare la purificazione, dei piatti con germogli di frumento, che inneggiano alla terra, tutti simboli presenti nei sepolcri pasquali.

Le “cene” non sarebbero complete se mancassero ai piedi delle colonne portanti dei mazzi di finocchi verdi. segno di abbondanza. Il ‘pane dei santi’, di più alto valore sacrale, viene appoggiato sull’altare, mentre migliaia di piccoli ‘pani da mensa’, legati ad asticelle di canna con filo di cotone, sono appesi tra il verde scuro della cappella, secondo un ordine vincolato anche a regole di simmetria.

Nel centro del tempio viene sistemato il piccolo tavolo per il pranzo dei “santi”, imbandito con pane, arance, una bottiglia di vino e fiori. Tutte le cene, di disegno e dimensioni diverse, ricordano modelli colti rinascimentali ed acquistano una valenza artistica straordinaria, seppure effimera. Un ramo di alloro intrecciato all’angolo della via o alla porta spalancata della casa, come una segnaletica culturale, richiama i visitatori devoti, che si susseguono in fitto pellegrinaggio fino a tarda sera per ammirare l’incantevole altare e propiziarsi così la fortuna e la benedizione divina.

Capire perché le ‘Cene di San Giuseppe’ si ripetono a Salemi, anno dopo anno, sempre uguali, nonostante l’incalzare del tempo, e resistono alla furia devastatrice del dilagante modernismo, significa riconoscere la forza della fede, il valore del credo di un popolo che custodisce, gelosamente intatto, il passato su cui ha costruito la sua storia. Nella cultura contadina antichi riti, celebrazioni particolari di ascendenza pagana, come le feste dei pani, vengono adottati quasi sempre dal culto cristiano e ricorrono periodicamente nell’arco dell’anno a scandire date e ricorrenze. Così la religiosità, molto spesso, rasenta nell’esteriorità la superstizione, ma nulla toglie allo spirito liturgico ed è sempre autentica testimonianza di fede profonda e di vita cristiana.

La cena nasce originariamente come voto di ringraziamento o come propiziazione di una grazia da parte di una persona devota, che si è impegnata con San Giuseppe a fare un convito di beneficenza, (cci prumettu di inchiri i panzuddi a tri picciriddi – prometto di riempire la pancia a bambini), per tre bambini poveri che rappresentano la Sacra Famiglia. Si scioglie quindi una promessa, si adempie un voto fatto per fede e si segue la tradizione che ha, da sempre, un cerimoniale, fatto di gesti rituali, preghiere, canti, legato ad una simbologia assai complessa.

La cena di San Giuseppe, folklore e rito insieme, è una dimostrazione esteriore di quella religiosità autentica, spontanea, singolare e piena di valore antropologico, solidarietà e fratellanza che è nella natura sociale di ogni uomo. Dopo la questua penitenziale fatta, a volte a piedi scalzi, per tutto il paese di porta in porta, se il voto è pubblicizzato, o a proprie spese se la promessa è: ‘fazzu na cena pi chiddu chi pozzu’ (faccio  una cena per quelli che posso) , la padrona di casa prepara il pane con straordinari esiti plastico-simbolici.

Aiutata dalle donne del quartiere, amiche e conoscenti, lavora giorni e giorni per modellare con vera creatività ed arte tutto il pane per la cena. Si impastano quintali di farina, si lavora la pasta fino a che diventa omogenea, si divide in tocchetti e con vera maestria si procede alla modellazione figurativa, usando arnesi comuni come temperini, pettini con fitti denti, aghi, ditali, forbicine e il cosiddetto ‘mucaciu’, un attrezzo metallico a pinza dentata. Particolarmente laboriosa è la manifattura dei ‘pani dei Santi’, ma le sapienti mani delle donne più esperte, a cui se ne affida la fattura, sanno creare veri capolavori in miniatura dalle forme più varie.

Tutto il pane, prima della ‘nfurnata’ (cottura in forno), è reso lucido da una pennellata di chiara d’uovo battuto con succo di limone e, quando il colore dorato ricopre le teglie, la cottura è ultimata. Tutta la fatica dei preparativi viene offerta come un tributo d’amore a San Giuseppe, modello per ogni sposo cristiano.

Gli spazi più grandi di molte case, in questo periodo, si trasformano magicamente in veri laboratori artistici all’interno dei quali mani esperte di donne eccezionali, danno sfogo alla loro tecnica creativa. Molti piccoli attrezzi e soprattutto piccoli coltellini, danno vita a quei dettagli che identificano ogni forma simbolica di “panuzzo”. Piccoli attrezzi quasi sempre costruiti alla bisogna, per increspare, per arrotondare, per estrudere un particolare. È tutto un brusìo che innerva uno spirito collaborativo e la voglia di esprimere con questi gesti l’identità particolare che caratterizza una delle più belle tradizioni contadine di Salemi, ma anche e soprattutto un grande senso di ospitalità. Il coinvolgimento emozionale di chi osserva è assicurato non solo dalla meticolosità e dalla perizia dei gesti con cui vengono cesellati questi pani, ma anche dal modo in cui si concretizza un’astrazione che prende consistenza attraverso l’impasto di farina e acqua.

È compito degli uomini, invece, è quello di allestire la struttura architettonica che verrà ornata dai pani che le donne preparano. Viene rivestita con rametti di alloro e di bosso chiamato impropriamente “murtidda” (impropriamente perché murtidda è chiamato il “mirto” che ha una certa somiglianza col bosso ma è un’altra specie) che vengono legati pazientemente a ricoprire tutta la superficie della struttura fatta in legno, uno sfondo vero e proprio dove poi disporre i pani con un ordinamento ben predefinito ed a simboleggiare una piccola cappella dove all’interno si erge un altare formato da tre o cinque gradini. Avvicinandosi a questi ‘altari’ si riesce a sentire il profumo dei pani che vicino alle foglie di alloro, esalta la sacralità del luogo e come l’incenso percepito in chiesa, proietta la sua immagine di devozione, di ritualità. Sono profumi unici che solo qui si possono percepire, dando un senso di identità e di rievocazione che molti visitatori amano.

La simbologia del pane esprime il valore religioso delle cene di San Giuseppe, al centro dell’altare, per esempio, risalta la forma arrotondata del “cucciddatu” che rappresenta Dio, la luce del mondo. Vi si riconosco elementi che descrivono la passione di Cristo ed altri elementi come i grappoli d’uva e le spighe di grano simboli dell’Eucaristia. Elementi simbolici che raccontano varie fasi della vita di Gesù. Coronano il pane motivi floreali che spesso identificano piccole rose e fiori di gelsomino. È la forma più in evidenza ma visitando le cene si scopre, grazie ai chiarimenti dati dai realizzatori , una ricchezza simbolica notevole in tutti gli altri pani. 

Per cogliere il profondo valore religioso delle cene di San Giuseppe bisogna comprendere il simbolismo dei pani benedetti che ripercorrono tutto il rapporto tra l’uomo e Dio e richiamano le meraviglie del Creato, secondo un criterio allegorico ben definito.

Chi osserva la cena scorge, in alto il Sole, che rappresenta Dio stesso, la Luna, la Madonna, e una stella. Al centro del fregio frontale spicca la croce, segno della salvezza, mentre, un po’ più in alto, c’è un “panuzzu” a forma di gallo, per ricordare il suo canto, quando Pietro rinnegò Gesù; sotto i bracci della croce ci sono due scale disposte simmetricamente e attorno, a livello immediatamente inferiore, i tre chiodi, il martello e la lancia, a destra, la tenaglia e la canna con la spugna, a sinistra, simboli della Passione di Cristo.

Procedendo ancora verso il basso si vedranno: una grande aquila, segno di potenza, due pavoni, segno della resurrezione, due colombe, segno di pace, poi i monogrammi di Giuseppe, Maria e Gesù. In corrispondenza della posizione della Madonna nel quadro della sacra famiglia, sono disposti piccoli pani dalla simbologia più varia: la rosa, la purezza; le forbici, la rocca; il filo, la laboriosità; il fiocco (a scocca), che rappresenta la castità della Madonna.

Sul lato riservato a San Giuseppe, vengono appesi tutti gli arnesi di lavoro del “carpentiere”: l’ascia, la sega, etc. e baccelli di fave per esaltare la sua generosità.
Si vedono ancora: la chiave che aprirà il regno dei cieli ai mortali, i fraticelli di San Francesco con il saio scuro che ricordano tutto il clero e una vita in povertà dedicata alla preghiera, farfalle e uccelli sparsi qua e là a simboleggiare il distacco dai beni terreni e l’elevazione spirituale, i pesci a rappresentare l’innocenza della tradizione cristiana, il cavallo è l’intelligenza, il cane la fedeltà, la colomba sinonimo di pace, il pavone la bellezza del creato, l’agnello il richiamo alla Santa Pasqua. Infine centinaia di “panuzzi” a forma di fiori, frutta, ortaggi e animali pendono tra il fogliame per inneggiare all’abbondanza e alla generosità della terra che ci nutre.
Al centro, guardando i cinque ripiani, ricoperti di bianche tovaglie ricamate, si vedono appoggiati sul primo gradino i tre pani più significativi.

Al centro spicca ‘u cucciddato’ che ha la forma del Sole e simboleggia la luce divina, destinato al bambino che rappresenta Gesù. È tutto decorato con raffigurazioni che richiamano i simboli della sua infanzia: la camicina, segno di povertà, i fiori di gelsomino preferiti da Gesù Bambino e tutti i segni della sua passione e morte.

A destra, si poggia ‘a parma’, simbolo della pace, pane a forma di palma, dove sono minutamente riprodotti tanti datteri, che ricordano il miracolo avvenuto durante la fuga in Egitto: mentre Maria riposava sotto una palma, essa abbassò i rami che le fecero ombra e la sfamarono con i suoi datteri; poi le rose, le forbici, i cuoricini, segno di amore, il fiocco e tante decorazioni attorno a una grande “M”. La palma verrà data alla fanciulla che rappresenta la Madonna.

A sinistra c’è ‘u vastuni’, il bastone di San Giuseppe, che sarà del bambino che lo impersona. È decorato con una grande “G”, al centro, circondata da tanti gigli, il fiore del suo bastone, che rappresentano la purezza, e da pere, mele, uva, assieme ai suoi attrezzi da lavoro che troviamo appese nella struttura della cena.

Sul secondo gradino si espongono tre pani più piccoli, simili ai grandi, che rappresentano il popolo fedele al cospetto di Dio, fatti uguali ai grandi perché Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Al centro del terzo gradino si pone la ‘spera’ cioè l’ostensorio che ricorda l’Eucarestia, contenitore del corpo di Cristo, e due angeli inginocchiati ai lati. Sul quarto ripiano si collocano il calice istoriato con le spighe e l’uva, le ampolline dell’acqua e del vino, sempre di pane mirabilmente intagliato, e ancora due angeli in adorazione. Ovunque fanno da motivo ornamentale, arance, limoni, lumini e fiori. Il quadro raffigurante la Sacra Famiglia, appeso al centro dell’altare, domina l’insieme e raccoglie alla preghiera.

Il pane della cappelletta è un’offerta di ringraziamento a Dio per i doni che elargisce la terra e l’augurio per un buon raccolto. Tutti ‘li cuddureddi’ e ‘li panuzzi’ benedetti del “tempio” verranno via via staccati dai padroni di casa e offerti ai visitatori perché possano cibarsene come pane dell’anima e crescere insieme nella carità e nell’amore.

Va anche detto che a Salemi in occasione della celebrazione del 19 Marzo, oltre alle ‘Cene di San Giuseppe’ dove vengono allestiti, lo ribadiamo, altari votivi costituiti da una struttura in legno, ricoperta di foglie d’alloro e mirto, addobbata con arance e limoni e piccoli pani ricamati detti ‘Cuddureddi’, si producono i famosi dolci di San Giuseppe: i sfinci. ll nome ‘sfincia’ deriva dallatino spongia, ‘spugna’, oppure dall’in arabo: ﺍﺴﻔﻨﺞ, isfanǧ ‘spugna’). Questi nomi hanno origine dalla particolare forma di questo dolce, che si presenta come una frittella morbida e dalla forma irregolare, proprio come una vera e propria spugna. Questa gustosa e semplice frittella è stata trasformata in un dolce prelibato dall’abilità delle suore del monastero delle Stimmate, situato a Palermo, che l’hanno tramandato ai pasticcieri palermitani e l’hanno dedicato al Santo degli umili, come umili del resto sono anche gli ingredienti. All’inizio la ricetta era piuttosto semplice ma i pasticceri palermitani hanno reso questo dolce ancora più gustoso arricchendolo con alcuni ingredienti tipicamente siciliani: crema di ricotta, grani di pistacchio e canditi di scorza d’arancia.

Di notevole pregio gastronomico, secondo la tradizione popolare, sono considerate anche le pietanze servite durante la cena rituale, ai tre bambini poveri invitati. Essi rappresentano Gesù, Giuseppe e Maria e gli si offrono cibi cucinati esclusivamente, senza nessun tipo di carne. Sono 101 le pietanze preparate e offerte, con ingredienti basati esclusivamente sull’uso di verdure tradizionali, uova, farina ma anche erbe selvatiche che spontaneamente crescono nelle campagne e nei boschi locali, il finocchietto selvatico, gli asparagi selvatici, le bietole selvatiche (i giri) e la senape selvatica (i sinapi).

Le erbe selvatiche rappresentano nella nostra cucina contadina un elemento particolare, sono specie vegetali presenti solamente in terreni incontaminati e tuttoggi la loro presenza, è sinonimo di un ambiente ancora ricco di biodiversità. Alla fine del pranzo si prepara e si offre la pasta con la mollica, un semplice piatto di spaghetti finissimi, conditi con olio d’oliva, mollica fresca di pane con l’aggiunta di zucchero e cannella macinata. E’ insomma una festa tradizionale in cui immergersi, dove è facile creare relazioni emozionali uniche grazie al coinvolgimento dei sensi. Alla fine si porta via un ricordo permanente e identificativo della città e di questa sua importante tradizione.

Salemi, uno dei paesi più appartati e interessanti dal punto di vista artistico e monumentale della provincia di Trapani, si trova nel sito dove un tempo sorgeva la città sicana Halyciae, addossato a un versante del Monte delle Rose. Nel centro storico si trovano antichi palazzi – realizzati con la locale pietra campanella – e chiese, la più antica delle quali è la basilica paleocristiana di San Miceli. Di notevole interesse anche il castello medievale e il quartiere ebraico del Rabato.

Solitamente tranquilla, Salemi, con una popolazione di poco sotto gli 11 mila abitanti, si riempie di gente nei giorni della festa di San Giuseppe, quando la cittadina mette in scena simboliche cene e si trasforma in un ricchissimo susseguirsi di altari decorati da arabescati pani, ricchi di elementi allegorici, arricchiti da i numerosi piccoli musei, imperdibili.

La città ha origini antichissime ed è da identificare con Halicyae, centro sicano-elimo. Sotto i Romani godette il privilegio di città libera ed immune. Il nome deriva da Salem datole dagli Arabi che hanno lasciato la loro impronta nell’impianto urbano con vicoli e cortili. A Federico II di Svevia si deve la ricostruzione del castello su una preesistente struttura fortificata. Ruolo importante ebbe durante i moti del 1848 e ancor più nell’impresa dei Mille del 1860: dal Municipio di Salemi, il 14 Maggio 1860, Garibaldi proclamò la dittatura.

La città immersa nella valle del Belìce ha sviluppato nel tempo un forte dinamismo culturale, testimoniato da personaggi illustri come lo scienziato e politico Simone Corleo, il musicista Alberto Favara, il giurista Francesco D’Aguirre. Una cesura nel tessuto sociale ed urbano è avvenuta con il terremoto del 1968 che ha provocato notevoli danni e il conseguente sorgere di nuove zone residenziali.

Le feste dei pani di Salemi, è stata riconosciuta quale bene dell’umanità, dell’Unesco e recentemente inscritta nel Registro Eredità Immateriali (REI) istituito presso il Dipartimento Regionale Beni Culturali e dell’Identità siciliana, nel libro delle celebrazioni.

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